Preceduta
da una larga e capillare campagna pubblicitaria l'ATESA Editrice di
Bologna ha messo in vendita una recente edizione in anastatica della
monografia su Caltagirone di Giuseppe Pardi, comparsa per la prima volta
nel 1901 sull' "Archivio Storico siciliano".
Nell'elogiare l'iniziativa non si può però fare a meno di mettere in
guardia i lettori sul contenuto della predetta opera del Pardi che in
vari punti pecca di astoricità. Qui, in questo nostro breve scritto,
vogliamo solo mettere in evidenza un grave abbaglio storico preso anche
dal Pardi a proposito del fatto d'arme relativo alla presa di Judica
da parte dei Caltagironesi in epoca normanna.
Nel 1856 Gaspare Antonio La Rosa, per mandato della Civica Amministrazione,
pubblicava il volume dal titolo: Notizie storiche delpatrimonio
fondiale della città di Caltagirone (Catania 1856) ed iniziava
il primo capitolo riportando la "Cronaca dei feudi", tratta
dal Volume I dei Privilegi (fogli 419-425) della città
stessa, conservato nell'archivo del Comune. Ma egli incorreva in un
grave errore quando affermava che la cronaca predetta era stata "scritta
da Federico Di Blasi da Roma nel 1590".
Invero il Di Blasi non è il compilatore della cronaca inserita in detto
volume, ma solo il calligrafo, con qualche conoscenza di latino, che
nel 1590 la copiò, non sempre testualmente, per incarico dei civici
amministratori, in un nuovo volume detto Libro d'oro (fogli
600-609), unicamente ad altri interessanti documenti ricavati da detto
Volume I dei Privilegi. Infatti que- sto era fin da allora
logoro ed in piú parti sgualcito, ma in stato di perfetta leggibilità.
É invece un fatto inoppugnabile ed evidente dall'esame dei documenti
che la "Cronica dei feudi", inserita nel menzionato volume
dei Privilegi, è un testo di data molto anteriore. Esso
fu copiato in detto volume verso l'anno 1546 e probabilmente in tale
anno la cronaca stessa venne stesa fino al tempo di Carlo V.
Sfatato questo errore che è stato ripetuto da diversi autori (anche
dal Pardi che tanta critica aspramente mosse al Randazzini, il quale
ritenne valida la "Cronica dei feudi"), va subito aggiunto
che detta cronaca non è la sola che tratta della presa di Judica ad
opera di prodi Caltagironesi al tempo dei normanni. Si ha, invero, un'altra
cronaca riportata dal Mazza nella sua opera: Sicilia in prospettiva
(Palermo 1709, vol. II, p. 160, alla voce Zotica), ed
un'altra ancora, anticamente posseduta dal Collegio dei Gesuiti di Noto
e riportata dall'Aprile nella sua Cronologia universale della
Sicilia (Palermo 1725, p. 92). Queste ultime, certamente anteriori
alla prima, concordano con questa nell'attribuire il fatto d'arme della
presa della Rocca di Judica ai Caltagironesi, ma se ne distaccano parecchio
circa la data dell'espugnazione di essa, datandola non nel 1143, cioè
al tempo del re Ruggiero come vorrebbe illogicamente la "Cronica
dei feudi", ma al tempo del Conte Ruggiero nel 1076.
Evidentemente le due ultime cronache si presentano piú attendibili perchè
ci portano in un terreno storico, quando cioè il fatto d'arme era possibile
per i violenti avvenimenti di cui fu teatro la Rocca di Judica nel 1076
ad opera del Conte Ruggiero che la espugnò e incendiò, deportandone
e vendendone schiavi gli abitanti in Calabria. E non è improbabile che
i Caltagironesi vantassero pretese sul territorio di Judica fin da allora,
avendo essi partecipato, come riferiscono due delle anzidette cronache
concordemente, alla espugnazione della Rocca nel 1076. Il che corrisponde
a quanto afferma il Fazello nel suo De rebus Siculis.
Infatti egli (Deca I, lib. X, cap.II) testualmente scrive parlando di
Caltagirone: "Oppidulum saracenicum sua origine, sed hodie amplum,
et Rogerii Northmanni, ex Zoticae oppidi, ab ipso dissipati, spoliis
liberalitate ditissimum", cioè "Caltagirone, in origine piccolo
castello, ma oggi grande e per la liberalità del Conte Ruggiero normanno
assai ricco per le spoglie concesse del castello di Judica da lui distrutto".
Uguali notizie troviamo pure nella Descrizione di Sicilia,
scritta da Giulio Filoteo Amodei nel 1557, cioè un anno prima che il
Fazello pubblicasse la sua opera. La Descrizione dell'Amodei,
inserita nel volume XXIV della Biblioteca storica e letteraria
di Sicilia, curata dal Di Marzo (Palermo 1876, p. 365), infatti,
in riferimento a Caltagírone dice tra l'altro: "E dí poí venendo
il conte Ruggero, ed avendo ruinato una terra detta Zotica (quale oggi
si stima Giudica, appresso Centorbi), l'ampliò di popolo e di ricchezze,
delle quali oggi molto abbonda".
Per il Fazello e l'Amodei, Caltagirone fu arricchita dei possedimenti
tolti alla Rocca di Judica, in seguito all'espugnazione della rocca
stessa avvenuta al tempo del Conte Ruggiero nel 1076.
Ma quali erano stati i motivi dell'elargizione del Conte ai Calatini?
Gli anzidetti storici non li precisano, ma è logico pensare che siano
stati i grati aiuti prestati nell'espugnazione della Rocca di Judica.
É evidente comunque che le ragioni note agli autori saranno state
dedotte dalla tradizione locale, tramandatasi, come dice l'Amodei "per
lunga fama", come pure da altri documenti scritti, diversi certamente
dalla "Cronica dei feudi" discordante con le affermazioni
dei menzionati storici.
Non è fuori luogo accennare qui all'incendio "vero o simulato
avvenuto nel 1550", che, come dice il La Rosa nella sua opera,
"consumava solenni documenti delle proprietà comunali" della città di Caltagirone. In vero sia la tradizione scritta che quella
orale dovevano confortare in pieno le affermazioni del Fazello e dell'
Amodei, per cui non può essere negato quanto affermano detti autori,
anche per le osservazioni fatte nel nostro scritto dal titolo: "La
cronica deifeudi" e l'origine dei possedimenti calatini di Judica,
inserito nel volume Caltagirone, stampato in Palermo nel
1977.
A conclusione qui noi, contro le affermazioni dei critici contrari ad
ammettere il fatto d'arme dei Calatini a Judica, sosteniamo che una
tradizone gloriosa di epiche gesta, non può affatto germinare da mere
concessioni comportanti palesi ed annosi sacrifici di dissanguanti pagamenti
e di costanti e gravosi tributi di denaro e di uomini.
Ma se la tradizione epica pur vige fra i lunghi aggravi e le pressanti
imposizioni, senza che ne venga mortificata e spenta, è segno chiaro
che essa affonda le radici in fatti reali. P- per questo che anche la
campana della chiesa Madre caltagironese (e non di San Giorgio, come
erroneamente scrive il Pardi), che la tradizione afferma provenire ctall'arsa
rocca di Judica, può avere valore corroborante. |