Riteniamo
utile aggiungere qualche breve notizia sul folclore e le feste locali
che ormai a grandi passi tendono a scomparire.
I suonatori ambulanti per la novena del S. Natale; la bella cerimonia
della vestizione dei bambini poveri con l'offerta, fra l'altro, di dolci
caratteristici a base di miele e vino cotto, durante le feste natalizie,
stanno per diventare lontani ricordi.
C'è ancora qualcosa di tradizionale nei popolareschi santini con fischietti
in terracotta che si vendono per la festa dell'Addolorata ai Cappuccini
e per quella della Madonna dei Miracoli; nelle campane pure in terracotta
che figurano sulle bancarelle davanti la chiesa del Ponte per la ricorrenza
dell'Ascensione. La caratteristica festa della Madonna del Rifugio in
campagna, col tiro alla porcella, è da non pochi anni scomparsa. Rimane
sempre sentita la processione del Cristo morto la sera del venerdì Santo,
con la lenta ed interminabile sfilata di confraternita e clero salmodianti,
al lume delle lanterne, seguiti silenziosamente da autorità e popolo;
come pure la singolare funzione della Giunta nel pomeriggio
della domenica di Pasqua, quando una enorme massa di popolo, formante
un selciato brulicante di teste sulla grandiosa Scala Ex Matrice, saluta
al grido di "Viva Maria" la gigantesca figura di S. Pietro
che, correndo, annunzia a Maria la resurrezione di Cristo portato in
trionfo. La festa della Conadomini che si svolge il 30 e il 31 maggio,
ha la sua nota di colore in quell'offerta di grano e rusedda
caricata sui muli e carri addobbati a festa con sfoggio di colori e
sonagliere. Le feste patronali di S. Giacomo, che si svolgono tutte
di notte dal 23 luglio al 1 agosto, conservano pure parte dell'antico
sapore tradizionale in quella fastosa illuminazione della Scala con
lanterne a vario colore disposte a disegno; in quella movimentata processione
notturna del Santo con l'accompagnamento del Senato, scortato da paggi
in uniforme settecentesca reggenti torcioni accesi; in quei ripetuti
ed assordanti spari di fuochi d'artificio.
L'illuminazione della città per le feste patronali, nelle vie, nei prospetti
delle chiese e dei palazzi, nelle piazze, nelle umili case private,
aveva un fascino singolare che ora, con l'avvento della luce elettrica,
è quasi del tutto scomparso. Piramidi lignee o metalliche, portanti
in diversi ripiani gusci di grosse lumache piene d'olio con entro lucignoli
ardenti con brillanti fiammelle, erano poste ad illuminazione di edicole,
crocicchi e vie ove passava la processione del Santo Patrono S. Giacomo.
Tutto questo apparato si chiamava luminaria.
A tanta luce facevano spesso contrasto zone poco illuminate, dove pure
per necessità di percorso doveva passare la processione del Santo. Al
buio in mezzo alla folla spesso capitava che il marito perdesse la moglie
e i genitori la figlia. Ed ecco allora spiegata la frase di avvertimento
che si ripete anche oggi: "Mannedda, appizzati à brachetta",
cioè "attaccati ai pantaloni".
Ora per luminaria si intende solo il falò fatto con cataste di legna
accesa. Siffatta luminaria ancora si usa fare la sera della vigilia
della festa della Madonna dei Miracoli nel largo spiazzo antistante
alla chiesa. Nel passato questa festa, piú d'ogni altra, era densa di
folclore, anche perchè dava inizio alle festività annuali cittadine.
Alla 'ntinna o gioco della pentolaccia si accompagnava
nel giorno della festa il frastuono assordante delle campane, il vocio
indistinto di un'immensa folla di gente intercalato dalle grida dei
venditori. Con la luminaria e assordanti spari di mortaretti e maschi,
si ricorda ancora ogni anno il tremendo terremoto dell'11 gennaio 1693,
alle ore 15 di detto giorno. Cataste di legna rubata dai monelli nelle
case, senza rispetto neppure per le gabbie delle galline, ardono nella
predetta ora avanti le edicole del protettore S. Giacomo a ricordo del
luttuoso avvenimento. Coi mortaretti si annunziava pure l'apertura delle
fiere le quali, perchè venissero frequentate, spesso godevano del privilegio
della sospensione dei debiti. Infatti, quando c'era la franchezza,
nessuno poteva in quei giorni essere arrestato per debiti. Coi giri
che nell'ottava faceva il Santo in piazza, aveva termine la festa patronale
e insieme la sospensione del pagamento dei debiti. Allora le dicerie
del popolino andavano bisbigliando che se i giri del Santo in piazza
erano avvenuti dal lato manco, continuava la sospensione del pagamento
dei debiti, mentre se erano avvenuti dal lato destro, terminata la festa,
doveva subito provvedersi a pagarli. La festa solitamente si chiudeva
con un imponente spiegamento di fuochi d'artificio e detonanti spari
di mortaretti, il cui rimbombo si avvertiva nel silenzio della notte
dai paesi circostanti, da cui spesso era pure possibile vedere in lontanza
il cielo arrossato da roteanti e guizzanti scie luminose di smaglianti
colori: i popolari surfareddi.
Hanno pure il loro fascino ancora i pellegrinaggi notturni con lanterne
accese e devoti canti al Santuario del Soccorso nei venerdí di
settembre.
Di grande interesse ed aspettativa per i bambini è la festa dei morti,
preceduta la sera innanzi dal mercato dei giocattoli e dei dolci tradizionali,
che figurano su stracariche bancarelle, fra illuminazioni bizzarre ed
assordanti grida di venditori. É possibile in tale occasione
vedere ogni tipo di frutta e statuette di zucchero e pure i caratteristici
dolci che richiamano il tempo della dominazione musulmana, come 'a
giuggiulena, 'a cubbaita, 'u turruni, 'a calia semplice o zuccherata:
dolci questi che davano vita ad una numerosa maestranza calatina detta
dei cubbaitari, che girava per tutti i mercati e feste
dell'isola, e che aveva la principale fonte di vita nella ingente quantità
di miele che si produceva a Caltagirone fin dai tempi piú lontani. Nelle
feste e fiere isolane erano pure presenti le maestranze dei ceramisti
e dei cordari calatini, molto fiorenti per il passato nella città.
Oggi,peró feste, tradizioni e superstizioni tendono a scomparire.
Non c'è piú il devoto che compra in chiesa 'i cuddureddi per le feste di S. Nicola e di S. Lucia, come non c'è piú chi crede
alla truvatura di S. Mauro, fantastico ricordo di una
vicina cittadina greco-sicula scomparsa e divenuta nel tempo luogo di
fortuiti rinvenimento da parte di contadini. La popolazione calatina
tende ormai a lasciare le anguste abitazioni addossate ed ammucchiate
sulle antiche colline per andare ad abitare nei quartieri nuovi della
cittá, sorti nelle salubri zone pianeggianti della Madonna della
Via e di S. Maria di Gesú. Moderne costruzioni, a guisa di giganteschi
alveari in grigio cemento, invadono dette zone a mezzogiorno della cittá
e giá accolgono pure gran parte della popolazione piú misera
che era quella piú sensibile al fascino della favola, delle superstizioni
ed insieme delle tradizioni.
In mezzo al cemento la tradizione ora langue, ma passa a far parte della
letteratura, costituendo sempre le pagine piú vive e sentite del nostro
passato. |